Anche i tibetani sfruttati contribuiscono alla produzione delle auto
Se gli uiguri in Cina non se la passano bene e il loro lavoro schiavistico viene sfruttato – spesso in modo inconsapevole – per produrre le auto moderne, non va meglio meglio ai tibetani. Grazie alla sua importante ricchezza mineraria, il paese himalayano è infatti un’altra fonte importante di materie prime per la produzione automobilistica. È noto che la Cina abbia invaso il Tibet nel 1950, provocando la morte di oltre un milione di tibetani e distruggendone alcuni aspetti della cultura, tra cui buona parte degli oltre 6.000 templi buddisti presenti.
Le violazioni ai diritti umani in Tibet non si sono fermate, come ha mostrato un recente rapporto di Human Right Watch. Il governo cinese infatti sopprime la religione e vieta la lingua tibetana nelle scuole. Chi si ribella viene torturato e mandato nei campi di rieducazione. Anche il semplice possesso di una foto del Dalai Lama, il capo spirituale del Tibet e vincitore del premio Nobel per la pace, è considerato un reato penale punibile con la prigione.
Le violazioni dei diritti umani sono anche peggiorate negli ultimi anni, da quando Xi Jinping è segretario del Partito comunista cinese e presidente della Cina. E, come accade per gli uiguri nello Xinjang, le persone maltrattate in Tibet sono collegate alla catena di fornitura automobilistica globale.
Tuttavia, nonostante le continue violazioni, le case automobilistiche continuano ad aumentare gli affari nel paese asiatico. Staccarsi dalla Cina in questo momento comporterebbe in crollo dei fatturati, almeno nel breve periodo: non solo perché il paese asiatico rappresenta un importante mercato per tutte le case automobilistiche, ma anche perché da quei territori arrivano molte delle materie prime necessarie per produrre le auto.