La Maserati Mexico nata grazie a un incidente
Se proviamo a chiedere agli appassionati di pensare a una gran turismo italiana degli anni ‘60, molti ricorderanno una Ferrari della famiglia 250, tutte con il motore V12 da 3 litri. Ma nella stessa zona e negli stessi anni nasceva anche quella che voleva essere l’alternativa col V8 a quelle Ferrari: la Maserati Mexico.
La storia di questa vettura sottovalutata comincia con la 5000 GT con telaio numero 103.022, vale a dire una dei 22 esemplari dotati di carrozzeria firmata Carrozzeria Allemano. Spedita al presidente messicano Adolfo Lopez Mateos, quella vettura andò distrutta in un incidente nel 1965. Alla torinese Carrozzeria Vignale venne chiesto di ricarrozzare il veicolo in tempo per il Salone di Torino del 1965. L’anno successivo la vettura venne mostrata anche al Salone di Ginevra, catturando l’attenzione dei vertici di Maserati.
Addio 5000 GT
La Casa modenese voleva sostituire la 5000 GT con un’auto più conveniente e spaziosa: tra il 1959 e il 1966, aveva infatti prodotto solo 34 esemplari della 5000 GT e costava quasi il doppio della 3500 GT.
Basata sulla prima generazione della Quattroporte, la Mexico venne presentata nell’ottobre del 1966 al Salone di Parigi. Oltre alla carrozzeria, la differenza più grande rispetto alla sorella berlina era il passo più corto di 11 cm. A livello tecnico, bisogna citare gli ammortizzatori telescopici, le barre antirollio sulle due estremità della monoscocca in acciaio, i doppi bracci trasversali e le molle elicoidali nella parte anteriore insieme alle molle a balestra semiellittiche sul retro.
La Mexico fu il primo veicolo Maserati di serie con quattro freni a disco ventilati. Il telaio AM112 001 presentava in anteprima anche il V8 da 4,7 litri, denominato internamente Tipo 107/1. Più tardi la Mexico avrebbe ricevuto anche il V8 da 4,2 litri della Quattroporte (Tipo 107).
Dotata di ruote a raggi Borrani da 15” avvolte da pneumatici Pirelli Cinturato, la Mexico aveva l’accensione a bobina fornita da Marelli e la lubrificazione a carter umido. La gran turismo 2+2 disegnata da Virginio Vairo disponeva di 290 CV a 5.000 giri al minuto e una coppia più che adeguata grazie a quattro carburatori Weber 38 DCNL5 twin-choke e un rapporto di compressione di 8,5:1.
Fastback esclusiva
Senza dubbio elegante all’esterno, la Maserati Mexico combinava fari anteriori doppi con prese d’aria di raffreddamento su ciascun parafango anteriore e luci posteriore derivare dalla Quattroporte. Aprendo la portiere del conducente, si incontrava il volante e il pomello del cambio manuale a 5 marce in legno. Per i clienti che non volevano il pedale della frizione, come optional era disponibile anche un cambio automatico a tre rapporti. Ulteriormente arricchiti da sedili imbottiti rivestiti in pelle pregiata, gli interni della Mexico si distinguevano per l’ottima visibilità.
L’impiallacciatura in teak sul cruscotto è affiancata da vinile nero che riduce l’abbagliamento. Il contagiri arriva a 7.000 giri/min mentre il tachimetro arriva a 300 km/h. Tuttavia il 4,7 litri permetteva di arrivare a 255 km/h, mentre il 4,2 litri da 260 CV fermava la corsa a 240 km/h. Fermando la bilancia a 1.830 kg, la coupé a 4 posti era dotata di serie di aria condizionata e finestrini elettrici. La radio e il servosterzo erano invece optional.
Quando nel 1973 la crisi petrolifera colpì duramente il mondo dell’auto, erano stati prodotti 482 esemplari di Maserati Mexico, compresi 3 con carrozzeria Frua. Solo 182 di questi erano dotati del motore da 4,7 litri in grado di erogare più potenza e più coppia del V12 della 250 GT Lusso.